La mostra.
Oltre 35 opere dagli anni sessanta in avanti, di cui circa 20 di Arman (1928 – 2005), ripercorreranno questa innovativa ricerca artistica con l’obiettivo di focalizzare lo sguardo degli artisti sulla natura moderna, industriale e urbana, appropriandosi degli oggetti della strada per attribuirne una nuova funzione: li spezza, li assembla, li comprime e li colpisce di vampe di colore, arricchendoli di drammaticità. L’opera di Arman non può avere confini limitati, non è pura pittura, non è pura scultura. Lui stesso si definisce “un peintre qui fait de la sculpture”. Ciò che caratterizza l’artista francese è un nuovo modo di osservare gli oggetti “inutilizzati”, ma recanti tracce dell’uomo, convertiti nel linguaggio semplice del “consumatore”. Disprezzato inizialmente dallo stesso Restany, che lo definisce un “pittore della domenica”, Arman trova l’illuminazione usando l’oggetto a guisa di pennello, ricavandone dei monotipi su tela o su carta. “Uso oggetti come un mezzo, perchè non usare gli oggetti stessi?”, afferma in un’intervista, constatando, nella realizzazione dell’opera, il valore dell’oggetto in quanto tale.
Le opere di Arman sono state esposte in importanti Musei e manifestazioni artistiche in tutto il mondo, tra cui alla Biennale di Venezia e a Documenta di Kassel. Del 1969 è l’esposizione itinerante delle opere eseguite con la Renault: Amsterdam (Stedelijk Museum), Parigi (Musèe des Arts Décoratifs), Berlino (Galleria del XX° secolo), Humlebaek (Louisiana Museum) e Dusseldorf (Stadtische Kunsthalle). Espone al padiglione francese nell’Esposizione Universale di Osaka, nei musei di Helsinnki, Ludwigshafen, Stoccolma e Zurigo. Nel 1976 è invitato alla Biennale di Venezia. Agli inizi degli anni ’80 risalgono numerose mostre personali a Monaco, Ginevra, Caracas, Firenze, Parigi, Osaka, Tokyo, Nizza, Stoccarda.
Il percorso della mostra continuerà con l’esposizione delle opere di César, Christo, Raymond Hains, Yves Klein, Mimmo Rotella, Daniel Spoerri, Jacques Villeglè per un excursus lungo il Nouveau Réalisme, descritto da Pierre Restany, come un nuovo avvicinarsi percettivo al reale. (…) Questo gruppo è nato dalla presa di coscienza di qualche artista isolato, da preoccupazioni comuni e dalla necessità momentanea di una azione collettiva. Il fatto capitale consiste nell’incontro di personalità arrivate a un punto culminante e decisivo della loro carriera…
Nel culmine dello sviluppo dell’astrazione lirica, della pittura gestuale e materica, in piena introversione psicologica, c’è qualcuno che invita a guardare con occhi nuovi la realtà che ci circonda, elaborando un nuovo modo di vedere basato sulla constatazione di una natura moderna e oggettiva, sull’appropriazione del reale contemporaneo, reale che nell’immediato dopoguerra è rappresentato dalla produzione seriale, dai mass media, la pubblicità, lo sviluppo tecnologico, la trasformazione dei rapporti sociali; elementi sociologici che assumono determinante valenza estetica in quel generale ritorno all’oggettualità nell’arte degli anni cinquanta-sessanta che coinvolse indistintamente sia America che Europa.
Nei Nouveaux Réalistes, a differenza degli americani, l’oggetto è considerato nella sua autonomia espressiva, riprendendo sì il concetto di ready-made duchampiano ma elevandolo alla massima potenzialità attraverso una nuova metodologia della percezione.
Il Nouveau Réalisme avrà vita breve ma intensa: dal 1960 al 1963 con la partecipazione attiva di quasi tutti i suoi componenti è presente in tutte le principali manifestazioni artistiche suscitando vivo interesse (anche negativo) sia di critica che di pubblico; da segnalare tra le numerose partecipazioni, i due festival del Nouveau Réalisme tenuti il primo nel 1961 a Nizza (Galerie Muratore e Abbazia di Roseland) e il secondo a Monaco nel 1963 che sanzionerà la fine delle attività collettive del gruppo. In seguito i vari componenti del gruppo proseguiranno la carriera individualmente, salvo ritrovarsi in occasione del decimo anniversario del Nouveau Réalisme, svoltosi a Milano nel 1970.
Arman.
Arman, al secolo Armand Fernandez, nato a Nizza nel 1928, dopo un primo esperimento nella pittura tradizionale, abbandonò a partire dal 1952 l’utilizzo del “cavalletto”, per una nuova ricerca d’espressione.
Cominciò con “timbri” su carta moltiplicati ossessivamente (Cachets), passò alle tracce e alle impronte (Allures). E’ tra il 1960 e 1962 che si compie il suo destino, pervenendo ad uno stile nuovo e potente; l’artista focalizza lo sguardo sulla natura moderna, industriale e urbana, appropriandosi degli oggetti della strada: li spezza, li assembla, li comprime e li colpisce di vampe di colore, arricchendoli di drammaticità. Partendo dagli oggetti raccolti dalla strada arriva alla loro de-strutturazione trasformandoli quindi “in massa e colore” mediante un processo di contaminazione. L’opera di Arman non può avere confini limitati, non è pura pittura, non è pura scultura. Lui stesso si definisce “un peintre qui fait de la sculpture”. Infatti anche nelle sue opere “frontali” – definite “superfici”, perché come egli stesso sostiene “anche nelle mie composizioni volumetriche la mia volontà è sempre pittorica più che scultorea” – la sua nozione del volume è lontana da quella degli scultori “puri”.
Ciò che caratterizza l’artista francese è un nuovo modo di osservare gli oggetti “inutilizzati”, ma recanti tracce dell’uomo, convertiti nel linguaggio semplice del “consumatore”.
Nella ricerca di nuove creazioni, resa necessaria dalle vecchie pitture, ha esplorato il settore dei rifiuti e degli scarti industriali; perviene quindi alla piena drammaticità dell’oggetto quando il suo gesto diviene collera che lo porta a distruggere gli oggetti o a bruciarli, e infine prova nuove combinazioni nelle sue “inclusioni”.
Partito dalla pittura, Arman è artista peculiare per aver fatto la sintesi di tutte le procedure sull’oggetto: sintesi quindi della sintesi.
L’arte tradizionale viene così dissacrata in favore di una revisione dell’estetica dell’oggetto.
Nouveau Réalisme per Arman significa assemblare oggetti che la nostra società reputa marginali e insignificanti, puntando l’attenzione su ciò che non notiamo ed esaltando così il valore di ciò che utilizziamo quotidianamente: come uno strumento musicale che emette melodie e crea emozioni, ma che nella poetica di Arman viene spaccato, sezionato e non trasmette suoni. Diviene così un articolo di “contemplazione”, facendoci ricordare che in ogni oggetto che ci circonda è contenuto “ingegno”. Questo concetto Arman lo esprime attraverso la musicalità dei colori.
“Nella ricerca di nuove creazioni – scrive Arman – ho in maniera cosciente esplorato il settore dei rifiuti, degli scarti, degli oggetti manufatturati scartati, in una parola: gli inutilizzati. (…) Io affermo che l’espressione dei rifiuti, degli oggetti, possiede il suo valore in sé, direttamente, senza volontà di ordinamento estetico, cancellandoli o rendendoli simili ai colori di una tavolozza. (…) In questo procedimento noi possiamo considerare che l’oggetto scelto non è in funzione dei criteri DADA o SURREALISTA; non si tratta di decontestualizzare un oggetto dal suo substrato utilitario, industriale o altro per dargli, per una scelta di presentazione o un inclinazione del suo aspetto, una determinazione diversa dalla propria. … Ma la questione al contrario è di ricontestualizzarlo in se stesso in una superficie sensibilizzata x volte dalla sua presenza duplicata; ricordiamo la frase storica: mille metri quadrati di blu sono più blu di un metro quadrato di blu, io dico dunque che mille contagocce, sono più contagocce che un solo contagocce.” (Arman, Realismo delle Accumulazioni, Zero 3, Dusseldorf, luglio 1961, pubblicato in 1960 Le Nouveau Réalisme, catalogo dell’esposizione M.A.M. di Parigi, 1986).
Nonostante le opere di Arman siano espressione di tecnica e stile in sé inconfondibili, evidenti sono i rimandi a varie correnti moderniste.
I violini sezionati richiamano le scomposizioni del Cubismo; i tubetti di colore, i cui tracciati con le loro fantasmagoriche volute di colore compongono tele di grandi dimensioni, sembrano rendere omaggio a Pollock; ed ancora, le fusioni di bronzo, sezionate e riassemblate, con la loro aura “classica” fanno eco ai paesaggi di De Chirico.